Arpal scelta per convalidare un nuovo metodo di analisi dei PFAS
Lo sviluppo di tecnologie e lavorazioni ha permesso ai materiali più disparati di ottenere proprietà impensabili fino a qualche decennio fa. Per arrivare a simili risultati, spesso, si è ricorsi all’utilizzo di sostanza conosciute con l’acronimo PFAS, ossia sostanze perfluoroalchiliche.
I PFAS sono composti che, a partire dagli anni cinquanta, si sono diffusi in tutto il mondo, utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti o le pentole antiaderenti; i PFAS sono presenti anche nella produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa. Come conseguenza dell’estensiva produzione e uso dei PFAS e delle loro caratteristiche chimiche particolarmente resistenti ai principali processi naturali di degradazione, questi composti sono stati rilevati in concentrazioni significative nell’ambiente e negli organismi viventi.
Nel 2006 l’Unione Europea ha introdotto restrizioni all’uso del PFOS (acido perfluoroottansolfonico), una delle molecole più diffuse tra i PFAS, da applicarsi a cura degli Stati membri; ma per le acque potabili, invece, non sono ancora definiti e non esistono limiti di concentrazione nella normativa nazionale ed europea.
Sempre l’Unione Europea ha chiesto di fornire nuovi strumenti per analizzare queste sostanze, e Arpal - interessata da Unichim, l’Associazione per l'Unificazione del Settore dell'Industria Chimica - è stata coinvolta per validare un nuovo metodo elaborato da un ricercatore giapponese, Sachi Taniyasu, in grado di analizzare un gran numero di molecole, oltre 30.
In Agenzia a Genova sono stati inviati diversi campioni di acque: potabili, marine, superficiali e di scarico. Il lavoro nel settore Cromatografia Liquida del laboratorio Arpal è durato un mese e ha permesso di ampliare il range di analisi svolte con tecniche di cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa, consentendo di analizzare praticamente tutte le molecole.
Infatti, se già è stato nominato il PFOS, la molecola più studiata che, insieme al PFOA (acido perfluoroottanoico) ha “catena lunga” ossia con 8 atomi di carbonio, è opportuno citare altre molecole normate, a catena corta, quali PFBS (acido perfluorobutansulfonico), PFBA (acido perfluorobutanoico), PFPeA (acido PerfluoroPentanoico) e PFHxA (acido perfluoroesanoico).
I PFAS hanno un’elevata persistenza nell’ambiente, ma non solo: come testimoniato da analisi che ne hanno evidenziato la presenza in acque e terreni, sono stati misurati anche nel sangue umano.
Particolare non secondario: se il Veneto, anche per situazioni contingenti, è la regione capofila nell’analisi di queste sostanze, altre due Arpa sono attrezzate per analizzare autonomamente i campioni. Si tratta della Lombardia e, appunto, della Liguria.