PFAS

Negli ultimi anni sono state scoperte anche in Italia alcune sostanze "inquinanti emergenti".
Fra queste, alcune di quelle più conosciute anche dall'opinione pubblica, appartengono al gruppo delle sostanze perfluoroalchiliche: i PFAS.
Sono un vasto e complesso gruppo di composti costituiti da una catena carboniosa idrofobica di lunghezza variabile (da C4 a C16) e da un gruppo idrofilico terminale.
Risultano composti molto stabili caratterizzati da una bassa tensione superficiale e una bassa tensione di vapore. Inoltre sono molecole altamente resistenti ai processi di degradazione termica, biodegradazione, idrolisi, metabolizzazione e di conseguenza altamente persistenti nell’ambiente in considerazione anche del fatto che sono sostanze altamente solubili in acqua.
Il PFOS e il PFOA sono considerati i contaminanti più rappresentativi tra i PFAS poiché sono i prodotti di degradazione finale della maggior parte dei composti fluorurati e sono stati identificati come sostanze PBT (Persistenti Bioaccumulabili e Tossiche): Allegato XVII del Regolamento 1907/2006 (REACH).
Questi composti non sono naturalmente presenti in natura; provengono da attività antropica, per lo più da procedimenti di produzione industriale, operazioni di smaltimento o rilascio nell’ambiente derivante dagli innumerevoli prodotti che li contengono. Infatti, in coerenza con le loro capacità di rendere un materiale impermeabile, antimacchia (resistente ai grassi) e antiaderente, sono composti chimici utilizzati in molteplici prodotti di largo consumo e applicazioni industriali, che è possibile suddividere in tre categorie:
- trattamento di rivestimento dei contenitori di carta per alimenti, in modo da renderli repellenti ad acqua, grassi ed oli e fondi antiaderenti per cottura (Teflon) e pentole,
- trattamenti superficiali, in particolare tessili (tappeti, tappezzerie antimacchia e tessuti gorotex), di pelli e pellicole fotografiche,
- vernici, schiume antincendio, imballaggi, mobili.
Riguardo alla tossicità, i principali dati disponibili sono riferiti ai PFOS, PFOA e anche perfluoroesano sulfonato (PFHxS) in base alla loro diffusa presenza e bioaccumulo nell'uomo e nell'ambiente. Per le altre sostanze appartenenti ai PFAS, invece l’informazione sulla tossicità è ancora frammentaria.
L'esposizione umana ai PFAS è principalmente dovuta all'ingestione di cibo o acqua contaminati. La natura anfifilica di queste sostanze impedisce l’accumulo nel tessuto adiposo a differenza di quanto accade solitamente per gli altri composti alogenati, mentre viene mostrata elevata affinità per le proteine. Diversi studi hanno dimostrato che i PFAS una volta nell’organismo hanno un’emivita piuttosto lunga, andandosi ad accumulare preferibilmente nel sangue e nel fegato e che possono provocare epatossicità, immunotossicità, neurotossicità, alterazioni ormonali nella riproduzione e nello sviluppo.
Monitoraggio
Arpal ha avviato, a partire dal 2018, una campagna di monitoraggio di acque interne superficiali (fiumi e laghi) e sotterranee in tutta la regione e rappresenta uno dei pochi laboratori ufficiali che effettua direttamente le analisi, effettuate con metodica accreditata.
I risultati dei primi monitoraggi sono pubblicati nelle Linee guida Ispra “Indirizzi per la progettazione delle reti di monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nei corpi idrici superficiali e sotterranei”. (https://www.snpambiente.it/2019/06/11/indirizzi-per-la-progettazione-delle-reti-di-monitoraggio-dei-pfas-nelle-acque-superficiali-e-sotterranee/)
Dal 2020 viene eseguito anche il controllo del biota ai sensi del D. Lgs 152/2006 e ss.mm.ii e della Marine Strategy ricercando il PFOS nei pesci d’acqua dolce e di acqua di mare.
Nel futuro Arpal estenderà il monitoraggio anche ad altre molecole fluorurate (nuove sostanze che hanno sostituito i PFAS la cui produzione è stata vietata) e ad altre matrici (acqua potabile e acqua di mare).